DUO BERTRAND: MUSICA + ADRENALINA

Intervista a Thierry e Sebastien Bertrand, artisti emergenti della Vandea

 

 
Quest’anno al festival di Saint Chartier, forse il più importante in Francia, ho girato a lungo tra gli stand dei liutai, accompagnato dall’amico e provvidenziale “traduttore” Yves Kieffer. Lo scopo non era tanto quello di acquistare strumenti quanto quello di rintracciare, al fine di ottenere un’intervista, Thierry Bertrand e suo nipote Sébastien. La musica è spesso un affare di famiglia, una passione che cresce nel quotidiano, come nel caso di Sébastien che a soli sette anni è entrato a far parte di un gruppo di danza e a dieci ha scoperto l’accordeon, oppure come nel caso di Thierry che ha riscoperto la “veuze”, un tipo di cornamusa scomparso negli anni trenta di cui ha dovuto ricostruire la tecnica di suono. Ma c’è un secondo motivo che ci ha spinto a questa intervista: si tratta del cd “Carte Blanche”, pubblicato dalla Label Ouest,  contenente il concerto “live” che il duo ha tenuto nel 2001, sempre in occasione del festival di Saint Chartier. Sappiamo quanto talvolta sia piena d’energia la musica dal vivo rispetto alla freddezza più calcolata di certe incisioni in studio, ma  certamente questo cd rappresenta una sorpresa in questo senso. La musica sgorga dall’accordeon e dalla veuze con una naturalezza e una immediatezza che sono conseguenza, lo abbiamo scoperto proprio durante l’intervista, dall’abitudine a suonare dal vivo, in modo acustico, per i danzatori. Thierry e Sébastien sono stati molto gentili e disponibili, rispondendo n modo esauriente alle numerose domande che, grazie alla collaborazione di Yves e Mireille, ho loro sottoposto.

 

TA: La pratica della musica tradizionale ha origini nella vostra famiglia o proviene da altrove?

 

TB: Per quanto mi riguarda, praticavo la danza tradizionale già nel 1969. Sia Sébastien che io abbiamo cominciato con la danza tradizionale. Ma tutta la famiglia era interessata. La tradizione è molto ricca nella nostra regione. Non è una zona dove tutto è sparito, non c’è stata un’interruzione nella tradizione musicale, tranne che per la cornamusa.

 

SB : Per me è come per Thierry. Ho incominciato a ballare nello stesso gruppo, ero attratto da quel tipo di musica. Poi ho cominciato a suonare l’organetto, e dopo alcuni anni anche la “veuze”. Questo mi ha permesso di avere un linguaggio comune con Thierry. Il duo è nato senza volerlo. Il disco uscito nel 93 è stato il primo elemento che ci ha messo in moto.

 

TA : Una domanda relativa al repertorio : quali sono le caratteristiche del vostro repertorio se paragonato a quelli delle zone limitrofi? C’è molta differenza all’ascolto?

 

TB : Questo è legato alla geografia della nostra regione. Dal punto di vista storico, si chiama “Marais Breton” (palude bretone). Questo per distinguerlo da un’altra zona paludosa più a sud, chiamata “Marais Poitevin” (palude del Poitou). Il “Marais Breton” non appartiene alla Bretagna, e neanche al Poitou. E’ una zona di confine, una marca. Prima della repubblica, era governata a metà dal Ducato di Bretagna e per l’altra metà dal Ducato del Poitou. Per esempio, i giurati presenti nei tribunali provenivano per metà dalla Bretagna e per metà dal Poitou!

Dal punto di vista geografico, è una zona di paludi, di terreni conquistati al mare. Questo ha creato una zona molto speciale con una mentalità altrettanto speciale. La gente è un po’ selvaggia, non sempre molto accogliente. E’ una cultura un po’ chiusa, bisogna dirlo. Le influenze francesi sono minime: da noi, non sono mai arrivate danze come scottishes, quadriglie, avant-deux, ecc. Nella nostra danza tradizionale troviamo una scottish arci-standard e una polka. E’ tutto! Queste danze non hanno avuto il tempo di esistere. Quindi il repertorio proviene da un fondo molto antico, soprattutto quello delle danze in cerchio, dei “branle” che oggi chiamiamo “maraîchine” e che i vecchi chiamavano “branle” o anche “courante”, con numerose versioni. Ci sono anche delle “rondes” con molte versioni: vanno dalla più semplice come una “ronde” dell’isola di Yeu a tre passi, alla più complessa, come alcune delle isole di Yeu e Noirmoutier.

 

SB : Su queste due isole, il lato isolano ha fatto sì che la gente abbia conservato le tradizioni ancora più che sulla terraferma. C’era poca comunicazione!

 

TB : Io pratico un po’ di musica rinascimentale, non sono uno specialista! Ma ciò mi ha permesso di capire che questo repertorio proviene dalla danza rinascimentale, una danza che ha preso caratteristiche regionali come ovunque (vedi la Bretagna e altre zone). Siccome è una regione un po’ chiusa, il repertorio è diventato un po’ particolare. Per quanto riguarda lo stile musicale, siamo esattamente a metà tra la cultura del Poitou e la cultura bretone, è un miscuglio di queste due. La “veuze” era lo strumento principe (da noi c’erano pochissimi suonatori di ghironda, tranne che nella zona del “Bocage” più a sud, e anche pochi violinisti). E’ una cornamusa che implica un certo tipo di repertorio. C’erano il canto e la cornamusa. Poi è arrivato l’organetto, come ovunque del resto. Il repertorio proviene o dal canto, o dalla cornamusa.

 

TA: A proposito del vostro stile musicale : come lavorate insieme, o meglio, come avete sviluppato il vostro stile personale ? A mio parere, offre due aspetti interessanti: l’energia, la dinamica, ma anche la profondità, le finezze, le sfumature del vostro suono.

 

SB : Come diceva Thierry prima (ma ne parlerà forse meglio lui di me), egli ha fatto un grosso lavoro per ricostruire il modo di suonare la veuze, basandosi sulla tecnica del canto. In effetti, non sono rimaste tracce del modo di suonare la veuze. Io invece mi sono messo all’organetto. Storicamente, questi due strumenti non hanno mai suonato insieme. Il secondo ha seguito il primo! Noi ci basiamo sulle raccolte, andiamo a sentire gli anziani, poi proviamo a suonare insieme e cerchiamo di analizzare ogni passaggio. Quando ascolti una persona anziana cantare, ti rendi conto che la sua musica inizia a cambiare dopo 5 o 6 ritornelli. Allora cerchiamo di capire cosa succede. Poi c’è anche ciò che siamo oggi. Ci esprimiamo con la nostra cultura, le persone che ci stanno vicine. Thierry ascolta del blues e tante altre musiche. Io sono cresciuto nelle discoteche. Ci sono cose che hanno a che fare con l’inconscio. Vogliamo anche che questa musica che chiamiamo “tradizionale” lo sia, ma nel presente.

 

TB : Io suono la veuze, ma di questo tipo di cornamusa sono stati ritrovati soltanto pochi strumenti. C’è stata una notevole ricerca, come ritrovare il modo di fare le ance per esempio. Non essendoci stata una trasmissione tramite gli anziani, è stato necessario ricostituire uno stile, un modo di suonare. Ho passato molto più tempo a riflettere che a suonare! Bisognava ritrovare qualcosa di coerente, ben sapendo che sarebbe stata una cosa nuova poiché non avevamo indicazioni. Ma, a mio parere, avevamo la cosa principale: tutto il repertorio. Le diteggiature erano scomparse, ma in fondo si tratta di una cornamusa fatta in un certo modo e che deve produrre un certo suono. Abbiamo anche la fortuna di poter incontrare degli anziani che ballano perfettamente e lo fanno cantando. Mi sono detto che era inutile credere di poter ritrovare uno stile con la cornamusa, poiché non esiste più e non si troverà più. Tanto vale provare a suonare in modo che lo stile si adatti il meglio possibile alla danza e a tutto ciò che ci aspettiamo dalla danza, dando piccoli impulsi in certi momenti, trattenendo in altri vari effetti. Abbiamo organizzato delle veglie con degli anziani dove abbiamo provato ogni tipo di abbellimento per rendere il ballo più efficace. Gli anziani sono incapaci di dire come fare un abbellimento, ma dicono “va bene” o “non va bene”. Se va bene, tanto meglio. Se non va bene, bisogna arrangiarsi, trovare qualcos’altro. Una tecnica è apparsa man mano. Questo modo di fare non è legato soltanto alla musica, ma anche alla mentalità della gente, a come vive, come parla. Dalle nostre parti, le persone sono rozze. Non sono proprio fini. Quando gli anziani cantano le “grand-danses”, hanno delle voci robuste. Lo stile riflette anche la cultura, va oltre la musica.

 

SB: Quando suoniamo, abbiamo la fortuna di vedere le facce delle persone che ci hanno trasmesso le loro conoscenze e, come dice Thierry, dietro ogni viso c’è un paesaggio, una casa, il bicchierino che beviamo assieme. C’è anche un lavoro di connivenza, di adattamento anche perché ci siamo chiesti come adattare il modo di suonare l’organetto e in particolare il gioco dei bassi alla veuze.

 

TB : In qualche modo, pensiamo di suonare 4 strumenti: tastiera destra dell’organetto, oboe della cornamusa, bordone della stessa e bassi dell’organetto. Quando suona, Sébastien tiene conto del bordone. A volte il bordone viene messo in evidenza. Non siamo soltanto due, dietro ci sono anche i bassi e il bordone. E’ importante! Ci sono suonatori di altre regioni che suonano benissimo il nostro repertorio, almeno tecnicamente sono bravissimi, non c’è che dire. Ma non funziona con gli anziani. Non si tratta necessariamente di rispetto nei loro confronti, non si suona una musica da museo. E’ più la preoccupazione di suonare musica per le persone che sono presenti e che ascoltano. Deve essere efficace. Se suoni per te, nel tuo angolo, è inutile. Ho visto gente da fuori suonare una maraîchine e constatare che non funziona. Perché è suonata con tranquillità, per questo e quell’altro motivo, non corrisponde. Noi siamo della zona, allora andiamo nella cantina di chi ci ospita, beviamo un bicchiere. Se poi suoniamo una danza e non funziona, la gente si mette a gridare: “Cosa stai suonando? Non va!”. Noi non abbiamo difficoltà a buttarci nella danza, suonare qui, adesso. Non abbiamo bisogno di microfoni, di arrangiamenti. A St-Chartier abbiamo fatto un concerto formidabile (nel 2001, ndt) ma se non passi da quella tappa (essere capaci di far ballare la gente al momento), è un’altra cosa. Tecnicamente abbiamo dovuto arrangiarci da soli.

So che esiste un testo di un tale Auguste Barreau, un giornalista, critico musicale, letterario, compositore, ecc. che ha scritto molto verso la fine del ‘800 e inizio ‘900. Vi descrive musicisti della nostra regione, lì ho trovato una frase che mi ha sempre guidato. Parla di un virtuoso della cornamusa e dice: ”sotto le sue dita, il suo strumento ride, piange, geme”. Si sente che Barreau cerca di trasmettere le sue emozioni, la tecnica non gli interessa. Non descrive quest’ultima ma ciò che il musicista riesce a fare. Per me, questo è l’essenziale. Se guardiamo la ricerca fatta in tutte le regioni (violino, organetto, bombarda, ecc.) e lo paragoniamo a ciò che si fa oggi, rimane ben poco in comune. Anche se avessimo copiato i vari suonatori con pignoleria, sono sicuro che oggi saremo andati avanti lo stesso. Il nostro criterio è l’efficacia. Ovviamente, ciò che facciamo deve anche piacerci. Non suoniamo per noi, un po’ sì, ma piuttosto per la danza e per gli ascoltatori.

La proposta per il concerto due anni fa era magnifica, ma bisogna anche dire che siamo arrivati dopo due anni di creazioni varie, fatte da persone formidabili, era magnifico, ma insomma faceva anche cagare. E’ stupido aver musicisti eccelsi che suonano arrangiamenti bellissimi. Quando abbiamo detto “Sì” à Philippe Krümm, abbiamo precisato: “noi ti poniamo una condizione: non vogliamo fare una cosa troppo intellettuale, vogliamo piuttosto qualcosa di conviviale. Intendiamoci, non siamo contro gli arrangiamenti! Ma noi due eravamo davanti e suonavamo i temi, e gli altri musicisti dietro di noi suonavano gli arrangiamenti. Ce ne vuole per tutti i gusti: coloro che sono venuti ascoltare le melodie dovevano poter sentire quelle, e quelli che erano venuti per gli arrangiamenti dovevano essere soddisfatti anche loro. Bisogna anche evitare l’opposto, cioè che solo dietro succeda qualcosa di interessante. E’ bello avere 11 musicisti dietro che fanno un sacco di arrangiamenti, ma quelli che sono davanti devono anche offrire una base efficace.

 

TA: Un’ultima domanda: avete pubblicato qualcosa dopo l’ultimo CD live registrato qui a St-Chartier due anni fa? Mi sembra che state preparando qualcosa?

 

SB: Per noi, St-Chartier è stato molto importante, sia a titolo personale che per quanto riguarda l’affermarsi di questa musica nella nostra regione, dove ha ripreso il posto che aveva una volta. Nella nostra regione, ci sono musicisti diversi e la gente è molto aperta nell’ascolto di vari tipi di musica. Il concerto ha permesso di convincere le autorità locali che ciò che facciamo può andare oltre e che abbiamo un pubblico molto più vasto di quello che avevamo all’inizio con il duo. Prima, i negozietti di campagna non vendevano i nostri dischi, ma questo disco lo hanno poi esposto. Con l’ondata “celtica”, che non amiamo necessariamente, sono arrivate anche persone che ascoltano un po’. Questo ci permetterà di iniziare un nuovo progetto a settembre, una nuova creazione musicale con sei musicisti, tra cui Silvain Fabre soprannominato “Tango” alle percussioni, Stéphane Atrousse al sassofono, Youenn Landreau al Chapman Stick, Thierry Moreau al violoncello, e noi due. Per noi, è l’occasione giusta per suonare con questa formazione nella zona da dove proviene questa stessa musica, poiché chi decide ha voglia di sostenerci.

 

TB: Conosciamo Tango da molto tempo, in un altro genere, ma con un approccio simile per le percussioni. Si interessa molto per i passi della danza. Ho già notato varie volte che occorre osservare i passi di una danza per poi decidere quale ritmica abbinarci. I passi sono necessariamente in accordo con la musica

 

SB: Conosco abbastanza bene le danze, ma non le pratico regolarmente. Faccio parte di una compagnia di musica rinascimentale, dove abbiamo trovato delle similitudini tra Rinascimento e Tradizionale. E’ lo stesso stile di lavoro: si parte da un passo di base riprodotto dalla danza, si ascoltano i passi dei ballerini e poi c’è una parte di improvvisazione assolutamente libera. E’ una musica dove tutto è da fare. Partiamo dal nulla per arrivare a tutto il possibile, proprio grazie al passo della danza.

 

TA : Avevamo pensato ad una terza domanda, alla quale hai già risposto in parte: come fate per creare, in due soltanto, questa energia considerevole? E’ soltanto una risposta alla richiesta della gente locale?

 

TB : Credo sia innanzitutto una questione di personalità. Sono le nostre personalità ad essere così, e poi abbiamo sempre questo bisogno di essere efficaci per la gente che ci sta davanti. Suoniamo per loro, non per noi. Abbiamo anche suonato molto senza amplificazione, il che è molto importante e formativo. Poi la gente è molto testarda, forte, un carattere duro dovuto al paesaggio, i costumi, ci sono molti marinai. Vivere nelle paludi è duro. Non è una musica intimista, i vecchi la cantavano e la suonavano con molta energia. Non direi “macho”, ma virile. Nelle isole di Yeu  e di Noirmoutier, erano principalmente le donne a fare ballare cantando. Ancora oggi, le donne hanno dei caratteri molto forti, anche presso i giovani sono le ragazze ad avere del carattere. Quindi non si può suonare questa musica senza carattere. Se si trasmette una certa cultura, lo spirito di una regione, questo si trasmette anche nella musica. Ma è una cosa naturale, non il frutto di una riflessione. Penso che debba essere suonata così. Poi il carattere di ognuno esercita la sua influenza. Esistono musiche più intimiste, più “interne”, il che non significa che la nostra non venga sentita da dentro, ma cerchiamo piuttosto di suonarla ed interpretarla in apertura. Nella musica rinascimentale, cerchiamo piuttosto le sfumature, è un po’ l’opposto. E’ molto più “lenta” per dare risalto a certi passaggi. E’ un’altra cosa, un’altra musica, un’altra disposizione di spirito.