Nella terra di Tristano, i Lyonesse e le origini del folk in Francia

 

Parigi all’inizio degli anni sessanta era lo sfondo di un romanzo che nessuno scriverà mai, era l’espressione di un volto umano che nessun pittore dipingerà. Troppo mutevole era il carattere della città per poterlo fissare su una pagina o una tela: ci sono momenti di allegria, nell’alba del mese di Giugno ma anche attimi di tristezza in certe sere di Dicembre. Per sfuggirli, ci si poteva recare in Boulevard Raspail. Là, era incoraggiante vedere le luci dell’American Center. Entrando, i visitatori avevano, ogni martedì sera, un’immagine ben precisa: quella di un uomo, sorridente e indaffarato, con dei fogli in mano. Quell’uomo era Lionel Rocheman e quei fogli contenevano la lista degli artisti che si erano iscritti al suo “hootenany”, uno spettacolo aperto cui chiunque poteva partecipare semplicemente presentandosi ad inizio di serata per inserirsi così nel programma. Ogni musicista avrebbe potuto eseguire al massimo due pezzi e Lionel agitava nervosamente in mano quei fogli per decidere quale sarebbe stato l’ordine migliore per lo spettacolo serale. Erano anni in cui la musica americana, sulla scia di Bob Dylan, Joan Baez et Hugues Aufray, andava per la maggiore. Va detto però che Lionel, un ebreo parigino, era un personaggio che non difettava di eclettismo: grazie alla sua iniziativa, sulla scena di questo American Center fecero il loro debutto artistico personaggi come il percussionista Guem, il vietnamita Tran Quan Hai o il bretone Alan Cochevelou Stivell. Si potrebbe dire che il ruolo di Rocheman non fosse molto dissimile da quello di Cesaroni al  Folkstudio di Roma.

 

Sempre a Parigi, nacque nel 1967 un primo folk club che si chiamava Traditional Mountain Sound. Si suonava essenzialmente musica americana, quella africana era praticamente sconosciuta; sempre più frequenti si facevano però le apparizioni di artisti francesi, come Marc Perrone. Uno dei frequentatori di questo ambiente era John Wright che, insieme a Catherine Perrier, diverrà il fondatore nel 1969 del “Le Bourdon”, il primo folk-club orientato decisamente alla riscoperta della musica e degli strumenti regionali francesi, a partire dal canto e dalla ghironda. E’ in questa cornice che iniziò la carriera artistica di Mireille Ben. La musica era entrata nel suo cuore quando, verso la metà degli anni sessanta, a soli 14 anni, andò ad assistere agli spettacoli dell’American Center insieme al fratello, anch’esso musicista. La sua non era una famiglia di musicisti per quanto, da giovane, sua mamma facesse parte di un coro classico. Il primo contatto con la musica popolare era avvenuto con la nonna poi, a scuola, la scuola francese, che ha sempre dato molta importanza a questa forma d’arte: basti pensare che a ogni alunno delle scuole elementari o medie veniva ad inizio anno consegnato un fascicolo, contenente dieci canzoni, che ognuno doveva imparare. In pratica si terminava il ciclo dell’obbligo, lungo nove anni, con almeno novanta canzoni nella mente. Canzoni che non mancavano di destare la curiosità di una giovane ragazza: queste musiche che evocavano un lontano passato, la stranezza di testi che raccontavano storie drammatiche con un posticcio lieto fine (frutto evidente di interventi censorei operati dalla chiesa nel corso dei secoli), tutto invitava alla riscoperta, alla conoscenza delle tradizioni.

 

Tracce delle sue prime apparizioni artistiche le troviamo al Le Bourdon nel 1970. Il folk-club era nato il 15 Dicembre 1969 in una piccola via del quartiere di Montparnasse, chiamata “Impasse Odessa”. Là c’era un locale che era stato concepito da Romain Bouteille, il proprietario, come un caffè e un teatro nello stesso tempo (da qui il nome Café-Théâtre). Tra i suoi commedianti c’erano personaggi del calibro di Miou-Miou e Coluche: Romain era molto orgoglioso della sua “creatura”. Ma i Lunedì i teatri erano chiusi ed ecco che, con grande disponibilità, Romain mise il suo locale  a disposizione degli appassionati del folk. La sera fatidica dell’inaugurazione Jean-Pierre Morieux e il fratello di Mireille, Jacques Ben-Haïm (più noto come Ben), prepararono dei manifesti che vennero affissi all’ingresso dell’Impasse Odessa e alla vetrina del Café. Non rimaneva che attendere nella speranza di una, almeno minima, partecipazione di pubblico. Con grande sorpresa il locale si riempì e un centinaio di persone assistettero a quella prima, indimenticabile, serata che venne conclusa da un Alan Stivell in forma smagliante. Le serate si susseguirono con la formula della “scena aperta”, per dar modo a tutti gli artisti di esibirsi: in breve il folk-club, che aveva la ghironda come simbolo, superò il numero ragguardevole di mille abbonati. Ma i rapporti con questo locale divennero a un certo punto tesi: gli attori volevano recuperare l’agibilità del locale il lunedì per potere provare gli spettacoli. Fu così che Catherine Perrier e il suo compagno John Wright trovarono una “cave” nel quartiere dell’Opéra, in rue de la Sourdière: quella fu la prima vera sede del Bourdon. L’inaugurazione avvenne il 17 Febbraio 1970: non c’erano ancora sedie e si decise di stendere una moquette sul freddo pavimento in pietra in modo da rendere un po’ più caldo l’ambiente. Era una cantina questo locale, col soffitto a volta e un centinaio di posti a sedere: un luogo unicamente pensato per la musica dal vivo. La sera della settimana dedicata alle esibizioni c’era il pienone, bisognava arrivare per tempo per trovare un posto e chi voleva cantare o esibirsi, poteva eseguire un paio di pezzi, esattamente sul modello del centro americano di Lionel Rocheman. Nelle altre sere si tenevano poi degli stage per imparare gli strumenti.

 

E’ in questo ambiente che Mireille si presentava al folk-club come cantante solista ma poco tempo dopo venne chiamata a far parte di un gruppo (Glazard Skeduz) che, all’inizio, era composto da tre musicisti di cui due bretoni: oltre a Mireille al canto, c’erano Job Philippe alla bombarda e l’arpa, André (Dédé) Thomas al biniou-coz e oboe, e Gérard Lavigne alla chitarra e basso elettrico. Spesso il gruppo viaggiava in Inghilterra dove il folk era all’avanguardia. Il repertorio iniziale comprendeva molti brani bretoni. Stivell era un punto di riferimento, non solo per la novità della sua proposta ma anche perché, proprio grazie a lui, il gruppo entrò a far parte dei “cercle” bretoni di Parigi per partecipare alla magia del ballo. Non era facile entrare a far parte di queste comunità ma Mireille vi entrava anche sulla scia del fratello Ben, un personaggio cui il folk francese deve molto: Ben, era un personaggio di grande carisma e talento, pareva un “bohémien” uscito dai libri di Jack Kerouac, un saltimbanco circondato da un alone di fascino e mistero. Il gruppo di Mireille continuò a esibirsi per tre anni con il nome Glazard Skeduz. Non esiste nessuna registrazione di questi anni così intensi, all’epoca non si sentiva l’esigenza di registrare, tutta l’attenzione si concentrava sulla musica dal vivo. Per le prove un punto di riferimento era la casa di un amico musicista, Gérard Lhomme, detto Gégé, poco fuori Parigi, dove c’era una grande sala da biliardo: un luogo adatto per le feste, numerosissime, e per la musica. Alcuni giorni Glazard Skeduz erano in questa casa, altri giorni al Bourdon. E’ durata vent’anni la storia di questo folk-club e il giorno della chiusura, nel 1989, tutti i musicisti di un tempo si sono dati appuntamento, vi fu  grande rendez-vous. Le Bourdon era stato pensato per il recupero della musica popolare francese e dopo vent’anni aveva esaurito la sua funzione: ormai il folk revival era nato.

 

I Lyonesse nascevano dunque nel 1973 a casa di Gégé, quando al gruppo si aggiunsero un inglese, Trevor Crozier (amico di Ben), che conosceva il repertorio britannico con cui il gruppo amava confrontarsi, e Pietro Bianchi. Lo stesso nome del gruppo derivava da una leggenda inglese: secondo la mitologia, tra le coste della Cornovaglia e le isole Scilly sarebbe esistita una terra emersa su cui si trovava il regno di Lyonesse, civilissimo e splendido. Nel V secolo dopo Cristo l'oceano avrebbe all'improvviso inghiottito Lyonesse e soltanto un uomo dl nome Trevilian sarebbe riuscito ad evitare la morte e a narrarne i fatti. Il nome Lyonesse fu scelto una sera, nella casa di Gégé a Chennevières-sur-Marne, attorno a una bella tavola imbandita: il battesimo venne innaffiato con del buon Bordeaux. Il primo concerto pubblico fu del Novembre del 1973: su quel palco salirono anche il fratello Ben e Gabriel Yacoub con i Malicorne, anche questi ultimi alla loro prima uscita. Erano presenti circa mille persone. Le difficoltà erano notevoli perché sia Lyonesse che Malicorne suonavano con strumenti elettrici e in quel periodo, un periodo di recupero della musica tradizionale, il fatto non era sempre ben visto. Ma Gérard Lavigne era al di sopra di ogni contestazione, suonava con identica maestria basso e chitarra elettrica. Capitava anche che il pubblico disapprovasse e, quando ciò accadeva, Mireille era solita dire: “Sentite, noi facciamo la musica di Lyonesse che è la terra di Tristano, questa terra non esiste più, voi cosa ne sapete della musica che c’era a quel tempo? Non ne sapete niente? Neanche noi, quindi facciamo quello che vogliamo.” Il ragionamento non faceva una piega. In questo primo periodo il gruppo viaggiava anche in Inghilterra suonando in alcuni festival, Oxford e Cambridge per esempio, e stringendo amicizia con molti artisti britannici. Tutto ciò grazie a Trevor Crozier, un musicista che ha avuto un ruolo molto importante per il successo del gruppo. Trevor era un vecchio “lupo” del folk, aveva suonato con Terry Woods e Barry Dransfield, e il suo nome compare perfino sul mitico album “No Roses” con il quale Shirley Collins iniziava l’avventura della Albion Band. Ma Trevor col passare del tempo divenne sempre meno affidabile e, un giorno, i Lyonesse vennero a sapere dalla cantante degli Steeleye Span, Maddy Prior, che Trevor era morto in una casa alle isole Maldive. Il repertorio inizialmente era misto: c’era chi faceva ricerche in Bretagna, come Job, e chi nel Berry, come Mireille.

 

Insieme a Trevor Crozier, Pietro Bianchi era dunque nuovo arrivato a Parigi e nei Lyonesse. Egli è svizzero, aveva imparato a suonare sul pianoforte di casa, un pianoforte ignorato da sua sorella e sul quale lui da piccolo si ”arrampicava” volentieri, battendo qualche nota sui tasti. Nell’adolescenza aveva però avuto un “maestro” nel senso classico della parola: un uomo che gli aveva aperto la casa nella quale Pietro, quasi come fosse un membro della famiglia, si recava volentieri per imparare sia il pianoforte che il violino. Poi ci furono i tempi del liceo, le prime esperienze in una jazz band con uno strumento un po’ atipico come il basso tuba, che ricorda il jazz dei primi del secolo. L’idea di acquistare un simile strumento era stata concepita insieme al pianista del gruppo, un musicista fantasioso: “se andassimo a Basilea a comprare un basso tuba di quelli militari, costano poco…”. Tornarono così, in autostop, con la “tuba”, immaginiamo, sporgente dal finestrino dell’auto. L’avvicinamento alla musica popolare avvenne grazie a due concerti che avevano colpito in particolare la sua sensibilità: un concerto di musica tzigana e uno di musica andina che all’inizio degli anni settanta, sulla scia degli Inti-Illimani, andava di gran moda. Si trattava di un gruppo boliviano che si esibì al teatro di Locarno. Nell’estate del 1972, finiti gli esami di maturità, Pietro decise di partire per Parigi in bicicletta. La prima tappa fu a Les-Saintes-Maries-de-la-Mer e poi, da Marsiglia, verso nord in direzione Parigi: la meta era la casa di Gégé. Pietro aveva infatti conosciuto in Svizzera un professore di latino, amico di Gégé Lhomme, e la sua abitazione era ora un punto di riferimento anche per lui. Gégé era un personaggio singolare: grazie a un’eredità aveva acquistato uno studio e un potente impianto di registrazione, avveniristico rispetto a quanto in quell’epoca si poteva disporre. Gégé, che era tecnico del suono di Alan Stivell, offrì a Pietro Bianchi l’occasione di partecipare a una tournée di una settimana in Bretagna come suo assistente. Nelle serate in cui si provava, a casa di Gégé (che suonava con il gruppo) si riunivano dunque Mireille, Job Philippe, André Thomas, Gérard Lavigne, Trevor Crozier : Pietro suonava inizialmente il pianoforte e in seguito anche il violino. L’incontro tra questi musicisti si deve dunque alle affinità musicali e alle circostanze che hanno dato loro la possibilità di suonare assieme: a quell’epoca ci si faceva pochi problemi: chi aveva orecchio e suonava, suonava anche nei concerti. Mireille e Pietro si fidanzarono un anno dopo: era l’anno della registrazione a Milano del primo disco del gruppo. Di quel disco, è curioso ascoltare la conclusione del primo brano del lato 2, che termina stranamente con una nota di bombarda prolungata: era la sirena della polizia milanese che, a causa di un non perfetto isolamento della sala di registrazione, si era sovrapposta all’incisione e, quel che è più incredibile, la sirena era proprio intonata! Il disco era molto innovativo e ancora oggi si può ascoltare la sua freschezza, quasi che il tempo non sia passato. Questa carica innovativa portava anche dei problemi: è capitato che durante un concerto il pubblico si lamentasse perché voleva ascoltare musica tradizionale acustica. Ma questa è la bellezza del folk revival, una musica sempre in apparente contraddizione, in quanto legata tanto al presente quanto al passato. Contraddizioni solo apparenti però: il folk è riuscito e riesce a realizzare una mirabile sintesi tra le due dimensioni. Una sintesi che i fanatici delle tradizioni non hanno mai del tutto digerito e dispiace ancor oggi leggere l’acrimonia con la quale Roberto Leydi attacca questo genere e lo fa, forse provocatoriamente, proprio nella presentazione dell’ultimo lavoro di Pietro Bianchi “Canta pai sass”. Credo che Pietro non meritasse questo considerato che, proprio lui, del nuovo folk è stato uno dei promotori.

 

Ma è interessante raccontare come è nato quel primo disco dei Lyonesse, uscito per la casa discografica PDU. Durante le festività natalizie, Mireille e Pietro ricevettero una telefonata del produttore  Roy Tarrant che chiese loro di fare da spalla a Claudio Rocchi in occasione di un concerto a Lugano. Tarrant era un personaggio alquanto singolare: aveva il compito di rappresentare all’estero la PDU, la casa discografica della famiglia Mazzini e quindi della cantante Mina. Il fatto curioso era che Mina non amava esibirsi in pubblico, inoltre non aveva necessità di avere successo all’estero tanto era grande quello ottenuto in Italia. Roy Tarrant era quindi destinato a girarsi i pollici in ufficio per l’intera giornata. Tuttavia, animato da spirito vivace, decise di cercare nuovi talenti da far conoscere sul mercato italiano. Fu lui a portare in Italia la musica elettronica (Klaus Schulze, Popol Vuh) e a togliere dall’anonimato jazzisti nostrani come Andrea Centazzo. A Lugano dunque, Mireille, Pietro e Trevor aprirono il concerto che avrebbe dovuto avere in Claudio Rocchi il protagonista. Ma dopo i Lyonesse, Rocchi e il suo gruppo salirono sul palco intontiti da stupefacenti e suonarono malissimo, senza neppure accordare gli strumenti. Nel frattempo i Lyonesse erano andati a riposare in un bar nei dintorni e, mentre bevevano una bottiglia di vino, vennero richiamati sul palcoscenico per acclamazione popolare. Il successo fu notevole e Tarrant ne era felicissimo al punto che, avendo percepito in quell’occasione l’interesse che la musica popolare poteva suscitare, propose al gruppo di firmare subito un contratto con la PDU. Si può immaginare l’entusiasmo dei musicisti a quella proposta. E’ difficile tuttavia dire se l’interesse della  PDU nascesse da un vero apprezzamento artistico o piuttosto dal desiderio della casa editrice di riempire un “buco” nel catalogo della musica popolare. Tarrant  comunque ci credeva e appoggiò molto il gruppo invitandolo, nel 1976, a suonare al Parco Lambro. In quei giorni il gruppo era a Milano per registrare il terzo album “Tristan de Lyonesse”. Al Lambro l’atmosfera era da tregenda, il caldo era micidiale, l’acqua poca. Tutti i musicisti che salivano sul palco venivano fischiati al punto che, dopo pochi minuti, scendevano: forse la gente era stufa. Il gruppo avrebbe dovuto suonare verso le 16 ma ebbe inizio una lunga attesa, tutto era molto triste, si respirava un clima pesante e nulla faceva presagire qualche sviluppo positivo. Verso mezzanotte salì sul palco Véronique Chalot che in Italia era assai conosciuta grazie a un disco pubblicato dal folkstudio di Roma. Dédé (André Thomas) era arrabbiatissimo, “ora gli faccio vedere io!!!” diceva tra sé riferendosi a un musicista di quel gruppo che suonava malissimo la bombarda: del resto Véronique era all’epoca circondata da musicisti italiani davvero alle prime armi. Era ormai notte avanzata quando, finalmente, i Lyonesse salirono sul palcoscenico; un amico di Mireille, proveniente dall’ambiente del cinema, si offrì per gestire le luci sulla scena. Il gruppo salì sul palco preparando tutto con calma, senza fretta, mentre una pioggerellina sottile iniziava a cadere… Non è facile comprendere quali alchimie agissero in quella circostanza, forse la determinazione di Mireille e Pietro, il desiderio di comunicare, di fatto il pubblico si sedette e il concerto volò via benissimo, tra gli applausi. Fu certamente un concerto che rimase impresso nella memoria di molti e che ha permesso al gruppo di acquisire la notorietà necessaria per poter lavorare in Italia negli anni a venire. Insieme al contratto con la PDU, questo concerto ha in qualche modo trascinato il gruppo verso la nostra penisola.

 

Tra il 1974 e il 1977 il gruppo si trasferì a Montluçon, nel centro della Francia, in un piccolo villaggio chiamato La Petite Marche. Qui nacque il secondo album del gruppo nel 1975: “Cantique”. Era un lavoro diverso rispetto al precedente: il disco nasceva dalla collaborazione con diversi musicisti, ognuno dei quali proponeva brani del proprio repertorio che il gruppo avrebbe rielaborato. Tra queste collaborazioni spicca quella con Eoin O’ Duignan del gruppo Wild Geese, valentissimo suonatore di Uillean pipes. Il disco, prodotto da Tarrant, venne registrato a Parigi, Milano e Lugano. Incuriosisce ancor oggi la copertina, che presenta un disegno del XVI secolo che Roy Tarrant scovò in una biblioteca milanese. Nel 1978 il gruppo fece il suo primo concerto in Calabria, a Lamezia Terme, seguì quello di Cosenza. L’accoglienza fu sempre calorosa. A Nicastro, dopo il concerto, alcuni giovani avvicinarono i musicisti e li invitarono il giorno seguente a suonare a una festa di un partito che al tempo si chiamava Pdup. Questi ragazzi, anch’essi musicisti e appassionati del folk, chiesero un consiglio: non sapevano infatti se articolare il loro repertorio sulla musica irlandese oppure su quella calabrese. “Ma dove la trovate la musica irlandese?” chiese Mireille; “Da dischi difficili da trovare qui”, fu la risposta: “Allora suonate musica calabrese!”. Nacquero così i Re Niliu, uno dei gruppi di punta nel panorama del folk italiano. Nel Novembre del 1978 il gruppo decise di organizzare alcuni concerti a Milano. Dopo aver parlato con i responsabili del teatro Verdi di Via Pastrengo, si decise di affittarlo per dieci giorni, senza neppure prendere in considerazione la possibilità che la risposta del pubblico avrebbe potuto essere insufficiente per coprire le spese: dieci giorni di concerto non sono pochi soprattutto per un gruppo di poco richiamo commerciale. “Se non fossimo stati un po’ incoscienti – dice Mireille –  non avremmo fatto tutto quello che abbiamo fatto”. La direzione aveva messo il teatro a disposizione al prezzo del 70% di ogni incasso di serata; tutta la pubblicità e l’organizzazione erano a carico dei musicisti. Vennero stampate molte locandine e la notizia del concerto milanese si diffuse rapidamente: i Lyonesse, oltre che musicisti, entrarono così nel ruolo di organizzatori. E la risposta ci fu: in quelle intense giornate la sala di Via Pastrengo era sempre piena. Il programma dello spettacolo era ogni volta diverso, c’era molta attenzione e capacità di adattarsi al pubblico: come sempre veniva elaborata una lista dei brani da eseguire e il primo brano suonato era, naturalmente, il primo. Ma in base alla risposta del pubblico, capitava che la sequenza dei brani venisse di volta in volta modificata. Oggi è più difficile fare questo perché in genere gli arrangiamenti sono sofisticati, i musicisti provengono da esperienze diverse, e quindi un certo programma va mantenuto. Il pubblico italiano, e milanese in particolare, era in quegli anni molto caldo, partecipava con entusiasmo e ciò trasmetteva molta energia ai musicisti che tuttavia, in altre occasioni, amavano anche suonare davanti a un pubblico attento e silenzioso. Troppo spesso oggi i festival privilegiano una musica veloce e coinvolgente senza considerare che il pubblico spesso desidera anche ascoltare.

 

Una sera, al termine di uno dei concerti milanesi, avvenne un fatto imprevisto: tre persone rimasero sedute in mezzo alla sala dopo il concerto, attendendo l’uscita del gruppo. Questi tre personaggi erano davvero strani: il primo era alto due metri e dieci centimetri, un secondo pareva un nano e il terzo, questa volta di statura normale, aveva una folta barba. Quest’ultimo era Carlo Petrini, personaggio divenuto poi famoso per aver fondato il circuito dell’Arcigola e la guida del “Gambero Rosso”. I tre chiesero ai musicisti: “Ma voi dopo questi concerti, cosa fate?”. Il gruppo rispose che, dopo due mesi di tour, sarebbero tornati a casa per un quantomai meritato riposo. “Non verreste con noi nelle Langhe? Avremmo una proposta da farvi”. Fu così che i Lyonesse presero il treno per Torino dove erano attesi; il viaggio proseguì verso Bra, nella zona del Roero. In una cascina, venne fatta loro la proposta di far nascere un festival che si legasse alla tradizione della “questua” (richiesta) delle uova. A Bra c’era una radio privata, “Radio Onde Rosse”, che era stata chiusa diverse volte dalla polizia e ora il gruppo di Petrini voleva concentrarsi su un’iniziativa che potesse far rivivere le tradizioni popolari. Rimasero una settimana in quella cascina delle Langhe e, tra una “bagna cauda” e l’altra, unita a una bottiglia di Barolo di Bartolo Mascarello, si mise a punto il progetto: compito del gruppo sarebbe stato quello di trovare i musicisti e preparare dunque il programma dei concerti. Il festival, di cui i Lyonesse avrebbero dunque avuto la direzione artistica, non si sarebbe dovuto svolgere nell’estate ma a Pasqua, nel periodo della quaresima. Tra il 1978 e il 1981, per quattro anni, il gruppo divenne direttore artistico del  Festival Internazionale di Musica Popolare di Bra (Piemonte). A ogni gruppo partecipante sarebbe stato chiesto di fare un canto di “questua” delle uova, da qui il nome Cant’è j’euv”. L’idea iniziale era quella di un’iniziativa per la gente del luogo non molto pubblicizzata all’esterno. Fu dunque una sorpresa, il primo anno, vedere mille persone a Bra, la notte della questua, senza neppure molta pubblicità. Alcuni addirittura provenivano da Palermo, altri perfino dall’Iran. Gli inglesi per l’occasione celebrarono, coi fiori nei capelli, nel teatro di strada, la festa di St-Gorge e altri rituali di fertilità antichissimi tratti dalla tradizione popolare anglo sassone, come l'"Obby Oss" (hobby horse) della Cornovaglia. Grazie al loro prezioso “carnet d’adresses”, Mireille e Pietro avevano chiamato da tutto il mondo musicisti che venivano ospitati dalle famiglie: era un vero e proprio festival di musica popolare, organizzato però con una serietà artigianale, fuori da ogni schema, soprattutto estraneo alle speculazioni che i manager musicali hanno da sempre fatto in simili circostanze. I musicisti erano tutti “coccolatissimi” dalle famiglie piemontesi. Dopo alcuni anni e varie polemiche legate a motivi politici soprattutto con la città di Bra, che finanziava una parte dell’iniziativa, il festival entrò in crisi. E’ possibile però che, nel 2006, a trent’anni di distanza, il festival possa riprendere, e Pollenzo sarà forse il luogo di questa ripartenza.

 

Rimangono oggi tanti ricordi di quel primo anno del festival, con tutte le emozioni che comportava vedere tanti musicisti in luoghi che lo sviluppo cittadino aveva portato a dimenticare. Un ricordo particolare è legato al paese di Barolo, il gruppo doveva suonare la domenica sera ma all’ora di cena tutti si ritrovarono in una piccola Osteria nella quale la gente entrava rischiando di rompere tutto. Alcuni addirittura rubavano il pane dal tavolo dei musicisti dicendo: “basta mangiare, bisogna suonare”. I musicisti decisero di fare dei turni: alcuni uscirono subito per suonare nelle strade del paese, in un bagno di folla, altri finirono di rifocillarsi prima di dare il cambio a quelli che erano usciti in precedenza. Vale la pena di ricordare anche l’edizione del 1979, quando venne allestita una mostra fotografica intitolata “Il Violino del Povero”. Il ricavato venne devoluto per la ristrutturazione della Chiesa Santa Chiara di Bra. Dopo il primo anno di Cant’è Jeuv” il gruppo si trasferì a Roma per un anno, i contatti in Italia erano ormai molti e la città permetteva facili spostamenti sia al nord che al sud. Dopo aver abitato a Roma, nel 1981 vi fu un nuovo trasferimento in Ticino, vicino a Bellinzona. Molte erano le chiamate per i concerti, una tappa importante fu la partecipazione al primo Folkest a S. Daniele del Friuli. Il nome Lyonesse attirava ormai molto pubblico. In questo periodo Mireille continuava a fare ricerche nel Berry, dove si recava ogni anno nei periodi di riposo, e convinse Pietro, che in quegli anni aveva studiato musicologia a Parigi, a fare ricerche anche in Ticino. Queste ricerche si rivelarono fertili anche se, per quanto riguarda il canto, non fu facile trovare un repertorio ticinese: comunque fosse, Mireille iniziò a cantare anche in italiano. Col nome Lyonesse Mireille e Pietro continuarono a fare concerti con l’idea di dare spazio ai musicisti incontrati, attivando così sempre nuove collaborazioni. In quel periodo venne allestito uno spettacolo sul tema dell’emigrazione, con un repertorio in parte francese e in parte italiano: di quello spettacolo non è rimasto nulla, nessuna registrazione. Non si sentiva l’importanza di registrare, più bello era stare con la gente, condividere le esperienze. D’altronde in quel periodo non c’era più neppure la casa discografica che aveva deciso di concentrarsi sui dischi di Mina: gli anni 80 segnarono il passo per il folk revival che sembrava avere perso quella carica di novità che aveva nel decennio precedente. I Lyonesse tuttavia continuarono a suonare in pubblico ma senza un progetto preciso, suonavano così, dove capitava. Mireille ricorda un concerto a Rimini, lontano dalle spiagge, in una bellissima serata estiva: avrebbero voluto fermarsi lì, in quel luogo suggestivo, circondati da tanto affetto, ma il giorno successivo li attendeva un incontro con la televisione svizzera a Ginevra. Durante quel lungo viaggio in automobile, Mireille maturò una convinzione: pensò che fosse opportuno fermarsi almeno tre giorni nel luogo del concerto, non per riposarsi ma per passare più tempo con la gente, a contatto con le culture. Si sentiva forte il bisogno di rompere con la meccanicità ripetitiva palco-albergo-automobile che lasciava un vuoto interiore. Pietro, Lili Ben (violino) e Yves Hulot (organetto) non erano del tutto d’accordo e Mireille a quel punto decise di fermarsi. Si era arrivati al punto da fare le prove in macchina, tra un concerto e l’altro. A volte il successo fa perdere contatto con la realtà, c’era il desiderio di sapere perché si suonava e per chi. Era indubbiamente un momento di crisi e occorreva una pausa di riflessione: c’era anche la sensazione  che gli organizzatori chiamassero i Lyonesse a suonare solo perché il loro nome era conosciuto e non perché apprezzassero veramente la musica tradizionale verso la quale erano indifferenti: dilagavano gli organizzatori affaristi che, se potevano, non pagavano neppure o addirittura contrattavano sulla cifra precedentemente pattuita.

 

Nei primi dieci anni di storia dei Lyonesse, i musicisti avevano una casa a disposizione e si suonava assieme giorno e notte, c’era tempo per  elaborare un repertorio, migliorarlo, mettere a punto nuovi brani. Da questa esperienza, da questo grande serbatoio, il gruppo aveva continuato ad attingere anche quando, negli anni di maggior successo, continuava a fare concerti senza sosta, senza avere più il tempo di studiare qualcosa di nuovo. Era un atteggiamento molto naïf quello degli anni settanta, la gente aveva voglia di suonare e stare assieme, non c’era spazio o tempo per gli arrangiamenti che, in fondo, interessavano poco. Anche i festival in Francia erano un modo per stare assieme, non si pensava solo al concerto, ma c’erano anche gli ateliers, dove si imparava e si studiava, essi non erano dunque occasioni pensate esclusivamente per suonare e ripartire subito dopo. In Inghilterra è ancora viva questa positiva abitudine. Il festival era all’epoca anche l’occasione perché i musicisti si ritrovassero tutti per fare un bilancio delle esperienze, anche a St-Chartier era così: c’era comunque una certa consapevolezza di questa naïveté musicale, ci si rendeva conto di quanto stava nascendo. Il festival era una festa, non un concerto, serviva a riunire i musicisti, per ritrovarsi e parlare della loro attività. Mireille ricorda un concerto del 1975 a Casale Monferrato (in tre: Mireille, Lili e Pietro) durante il quale la gente ballava sui tavoli di un ‘osteria al suono semplice di una voce, di un violino e di una fisarmonica. Ma negli anni ottanta il tempo sembrava trascorrere incessante, si suonava, si viaggiava: a un radicamento nella cultura e nelle tradizioni, faceva da contrappeso lo sradicamento di un’esistenza girovaga. A questo disagio andava ad aggiungersi un altro problema importante da risolvere: i Lyonesse erano anche una famiglia! Robin, il figlio di Mireille e Pietro, aveva vissuto i primi sette anni della sua vita sui palcoscenici e nelle piazze: in occasione del concerto a Santo Lucio di Coumboscuro nel 1979, il ricordo va a un bimbo che si rotolava nella terra, nella suggestione dell’ambiente intorno al falò notturno che celebra il tradizionale appuntamento del Festenal. Ma c’è anche un aneddoto relativo a un concerto svoltosi a Modena, in Piazza del Duomo. A un certo punto, durante il concerto, arrivò un carabiniere con Robin in braccio. Cosa era successo? Il bambino, che aveva solo tre anni,  avrebbe dovuto dormire tranquillo a casa degli organizzatori del concerto che, a loro volta, avevano un figlio piccolo. Nella notte tuttavia Robin si svegliò perché aveva sete e, aveva fatto la cosa più semplice che si potesse fare: uscire dalla porta di casa ed entrare in un bar per ordinare un coca-cola! Il barista, senza scomporsi, gli chiese: “Ma tu chi sei?”. “Io sono Robin Bianchi” rispose il piccolo”, “Ah sì, e dove sono i tuoi genitori?”, “Sono in piazza a suonare!”. Arrivò dunque il carabiniere che, da simpatico modenese, lo riportò a Pietro e Mireille che assistettero allibiti alla scena. Non era sempre facile accudire il bambino tra i tanti impegni che il gruppo aveva in questo periodo: alcune trasferte erano lunghissime, come quella da Villa Panfili a Roma, fino a Ginevra per un concerto il giorno successivo senza dormire perché gli organizzatori non avevano previsto l’alloggio. Una delle decisioni che venne presa fu quella di ridurre l’effettivo della band, un quartetto era senza dubbio una formazione più agile. L’anno in cui Mireille e Pietro avevano vissuto a Roma era stato importante perché aveva aperto le porte del meridione al gruppo ma alcuni musicisti risiedevano a Parigi e le trasferte erano non poco disagevoli. A complicare le cose arrivava ora l’età in cui Robin doveva iniziare gli studi e, insieme ad essa, nasceva l’esigenza di avere una residenza più stabile: fu così che la famiglia si trasferì a Bellinzona. A questo punto della storia, dei Lyonesse rimaneva però solo il nome.

 

I Lyonesse non si erano effettivamente mai sciolti ma, di fatto, siamo alla metà degli anni 80, a chi telefonava per i concerti si rispondeva che il gruppo non esisteva più: troppo oneroso diventava a quel punto rimettersi in viaggio. L’esigenza primaria era di pensare alla famiglia. Iniziò così un periodo di ricerche in Ticino, in Valle Maggia ad esempio: ogni settimana si andava a registrare coi vecchi del luogo e nel 1986 venne registrato anche un video dal titolo “I canti del fondo del sacco”. Era un progetto che non aveva nulla a che fare coi Lyonesse, una strada nuova dunque. Durante queste ricerche erano stati anche ritrovati molti strumenti (organetti e violini soprattutto) e nacque così l’idea di creare una scuola di musica affinché i giovani ritornassero a suonare, recuperassero le loro radici musicali e riscoprissero il canto e la danza. Nel 1989 venne allora fondata la Scuola di Musica Popolare con l’ACP (Ass. cultura Popolare) della Valle Verzasca dove Mireille insegnava la danza popolare francese. La scuola non ebbe vita lunga: dopo circa tre anni a una difficoltà di gestione della scuola si aggiunse la crisi dell’unione tra Pietro e Mireille. Ma la carriera musicale di Pietro e Mireille non termina qui. Mireille ha partecipato a diversi progetti come Bandalpina, Magam, MusicAlpina e il Mireille Ben Ensemble. Con questo gruppo ha registrato il primo CD “Lazùr” nel 1998 e ne ha in preparazione un secondo che vedrà la luce nella primavera del 2006. Il titolo di questo CD, distribuito da Ethnosuoni, sarà “Miniatures”. La formazione è in parte modificata rispetto a quella del primo disco. Da notare l’arrivo di Gabriele Coltri, un musicista di cui Mireille conosce bene le qualità, in quanto facente parte del gruppo veneto Calicanto: un artista di grande esperienza che è anche grande conoscitore del repertorio francese e specialista delle cornamuse francesi. Questo nuovo lavoro è basato sulle ricerche di Mireille ma anche su alcune composizioni originali, tra le quali un valzer composto proprio da Gabriele Coltri. Del gruppo fanno parte anche la violinista ticinese Claudia Klinzing, Oliviero Biella alla chitarra, Alfredo Savoldelli, un contrabbassista proveniente dal jazz, e Gianbattista Piantoni alla batteria. Pietro Bianchi invece continua le sue trasmissioni musicali  per la radio svizzera e svolge ricerche, anche insieme a Roberto Maggini, sulle tradizioni popolari del Ticino: è da queste ricerche che è nato il CD “Cantà pai sass”. Oggi i dischi dei Lyonesse sono diventati una rarità per collezionisti. Ciò rischia di confinare nella memoria di pochi appassionati il notevole contributo che questo gruppo ha dato al folk revival. Certamente, corrono tempi in cui le “reunions” vanno di gran moda e il nuovo live dei Planxty nel 2004 ha scatenato entusiasmi. Anche gli appassionati dei Malicorne battono sul chiodo, attraverso le pagine internet di Gabriel Yacoub, per poter rivedere il gruppo riunito. Ma va detto anche che è sempre poco edificante, se è solo per ricercare un passato che non c’è più, rivedere una band calcare il palcoscenico. A meno che, naturalmente, non vi sia qualcosa di nuovo da raccontare.