TRI YANN: LA SCOPERTA O L’IGNORANZA

L’intervista a uno dei più longevi gruppi musicali attivi sulla scena del folk

 

“La riscoperta o l’ignoranza” è il titolo dell’album che nel 1976 ha consacrato i “tre Jean” (di cui Tri Yann è l’equivalente in gaelico) tra i gruppi emergenti del panorama del folk revival. I “tre jean” fondatori del gruppo sono Jean Chocun, Jean Louis Jossic e Jean Paul Corbineau. In Italia essi erano praticamente sconosciuti e lo sono stati per lungo tempo in quanto la musica bretone non ha mai avuto distribuzione nel nostro paese; è solo con l’avvento del nuovo secolo che, in qualche fornito megastore, è possibile intravvedere un settore cd denominato appunto “Tri Yann”: non aspettatevi di trovare gran cose, tutt’al più le loro ultime fatiche, il doppio live dell’anniversario “Trente ans au zenith” (2002) e l’album “Le Pélegrin” (2001). Ma all’epoca, e parliamo appunto del 1976, dei Tri Yann non vi era in Italia alcun sentore. Ricordo mio cugino, di ritorno da una vacanza in Bretagna con un sacchetto di dischi, che mi dice “scegli!”; l’avevo in effetti pregato di acquistare qualcosa anche per me, ma certo non mi aspettavo tanta disponibilità. Il mio occhio è dunque caduto subito su quel disco dalla copertina apribile a libro (i più amati per la soddisfazione che dava la loro lettura durante l’ascolto) e dal colore blu intenso, sul quale faceva comparsa una statuetta antica rappresentante dei musicisti. Vi è mai capitato di capire che un disco è bello solamente osservandolo? Bene, non chiedete spiegazioni razionali, ma per gli amanti della musica sicuramente è così, è una specie di fiuto, di intuizione che guidava il nostro sguardo allorché si sfogliavano i reparti di dischi dei nostri negozi di fiducia. Nel 1976, un anno importante per il folk revival, la “découverte” soddisfaceva perfettamente le attese che l’occhio aveva suscitato. Non era il primo album del gruppo ma era quello che segnava la comparsa di un suono elettrificato che si sposava perfettamente con le sonorità tradizionali: le band del folk rock britannico erano state buone maestre. Anche il titolo dell’album era suggestivo: la “dècouverte ou l’ignorance”, cioè la “scoperta o l’ignoranza”. E’ un titolo che ci fornisce anche qualche elemento per comprendere la straordinaria longevità di questo gruppo, assolutamente anomala in settori quali il folk e il rock, che trova un parallelo solo negli inglesi Fairport Convention. Parliamo in questo caso di gruppi longevi, non per l’ostinazione di un sopravissuto alle intemperie della storia, o magari per l’interesse commerciale che solo un nome può evocare, parliamo di gruppi che mantengono la struttura originaria, insieme all’ispirazione creativa e all’energia che permette loro di sopportare lunghe trasferte e lunghe performance dal vivo. Il senso della “riscoperta” è forse quell’emozione latente che cementifica l’unione e il desiderio di continuare insieme l’avventura: questi sono i Tri Yann. Questa estate abbiamo avuto l’occasione di vederli all’opera a Bourg de Péage, una cittadina tra Grenoble e Valence (a questo concerto si riferiscono le foto qui presentate). A circa metà concerto si è scatenato un acquazzone furibondo e impietoso che ci ha fatto desiderare un riparo di fortuna; si è trattato di un desiderio accantonato perché Jean Louis Jossic, mentre il gruppo continuava a suonare sotto una struttura che copriva poco, è rimasto sotto l’acqua imperterrito, cantando con un’energia che non poteva non suscitare stupore. Non è evidentemente un caso che, dal 1972 ad oggi, il gruppo abbia superato i trent’anni di attività senza cedimenti. Eppure, verso la fine degli anni 80, in quel generale appannamento che si poteva registrare in tutto il movimento folk, anche i Tri Yann hanno a nostro avviso prodotto dischi più consueti e anche un po’ ripetitivi, segno forse di una difficoltà di rinnovare i propri progetti musicali; ma a quell’epoca sono state forse le tematiche ecologiche a saldare l’unità di intenti. Superata quella fase troviamo oggi nei Tri Yann una nuova verve compositiva che ci fa apprezzare le nuove produzioni, a cominciare dall’ultima uscita “Marins”, in commercio dal Settembre 2003. Nell’intervista che presentiamo, abbiamo cercato di indagare proprio tra i segreti che hanno permesso al gruppo di attraversare la storia della musica folk e di continuare a proporre prodotti originali e sicuramente innovativi. A nome del gruppo, ha risposto alle nostre domande il chitarrista Jean Chocun.

 

TA: Vi ricordate il giorno in cui avete scelto il nome “Tri Yann An Naoned”? Cosa è accaduto esattamente?

 

TY: Di fatto, è uno degli spettatori del “ballo bretone” cui noi partecipammo, in una cittadina vicino a Nantes che si chiama Basse Indre, che ci ha battezzati TRI YANN AN NAONED: il nome significa “I tre Jean di Nantes”, dato che i nomi dei tre fondatori sono Jean, Jean Paul e Jean Louis e che tutti e tre siamo originari di Nantes, il cui nome in bretone è Naoned. Quel giorno noi abbiamo interpretato tra le altre una danza con due chitarre, un flauto e le nostre voci: “La pastourelle de Saint Julien” che è una “maraichine” (danza proveniente dal “marais” bretone, una zona vicina a Nantes).

 

TA: Che importanza ha avuto per voi il primo concerto all’Olympia di Parigi, organizzato dalla casa editrice Phonogram nel 1973?

 

TY: Un’importanza decisiva. Rendetevi conto, noi non avremmo mai immaginato di poter apparire su una scena così mitica come quella dell’Olympia. Noi ascoltavamo talvolta le trasmissioni radiofoniche dei “Musicorama” che si svolgevano all’Olympia, dove tutte le “vedette” dell’epoca comparivano. Ma tutto questo ci sembrava un’astrazione, perfino inaccessibile per degli “amatori di provincia” quali noi eravamo. Fu necessario che la cantante-attrice Juliette Greco scegliesse di fare cantare dei giovani talenti nella prima parte del suo spettacolo affinché noi ci trovassimo in buona compagnia sulla scena dell’Olympia, insieme a cantanti come Daniel Guichard, Yves Duteil, ecc.

 

TA: All’epoca voi eravate soddisfatti della qualità del vostro secondo album “Dix ans, dix filles”?

 

TY: Oh! Certo che no!!! E noi siamo ancora dispiaciuti di aver registrato quel disco nella fretta provocata dalla richiesta della nostra casa discografica dell’epoca “Kelenn”. Non che la scelta dei titoli sia stata francamente malvagia, ma la preparazione è stata troppo affrettata, cosa che ci ha fatto commettere un certo numero di goffaggini: il tempo delle danze non rispettato, l’umorismo mal distribuito, ecc… ma vabbé, è sufficiente considerare questa prova come un errore di gioventù. Anche la copertina del disco era carente!!! Noi abbiamo cambiato strategia col terzo disco “Suite gallaise” per il quale abbiamo preso il tempo necessario per una buona messa a punto e per farlo “suonare” come noi desideravamo.

 

TA: Quando avete deciso di lasciare il vostro lavoro per diventare professionisti? E’ stata una decisione difficile?

 

TY: E’ successo alla fine del 1972 e all’inizio del 1973 secondo il lavoro che avevamo gli uni e gli altri. Non era più possibile conciliare il lavoro normale e gli spostamenti per la musica. Si doveva fare una scelta e, quando si ha 24 anni, se non si accetta di prendere qualche rischio, la vita rischia di essere ben triste! Dunque noi abbiamo deciso per la musica, il palco, i concerti, la strada, gli hotel… l’avventura!!! Si pensava che essa sarebbe durata qualche anno… invece trent’anni dopo noi siamo ancora là. All’epoca eravamo già quattro: Jean Louis Jossic e Bernard Baudriller erano professori di scuola, Jean Paul Corbineau era compratore in un supermercato e io stesso, Jean Chocun, lavoravo in una compagnia marittima nell’ufficio reclami del personale. Bisogna riconoscere che la decisione era difficile da prendere, alcuni hanno abbandonato i loro allievi in corso d’anno, altri hanno lasciato professioni attraenti e ben remunerate… ma quando si è motivati, gli ostacoli sono presto superati.

 

TA: Molti giornalisti ritengono che “La découverte ou l’ignorance” sia il vostro miglior album. Siete d’accordo?

 

TY: Guardando indietro si può pensare che questo album sia stato decisivo per noi, in effetti. Ma da questo a dedurne che sia la nostra migliore produzione è un passo che non farei, anche se io adoro questo disco. In effetti, se noi dovessimo pensare che questo è il miglior album della nostra carriera, perché affannarsi a registrarne altri che non possono competere? Per me, dal momento in cui un nuovo cd è realizzato, questo è il migliore di tutti… ci si rende conto solo più tardi dei suoi eventuali difetti, dei suoi squilibri e delle sue inadeguatezze rispetto alle richieste della produzione discografica del momento. Al tempo in cui “La Découverte ou l’ignorance” è uscito,nel 1976, noi eravamo ancora quattro musicisti e molto presto abbiamo compreso che per suonare dal vivo questo disco occorreva anche un bassista e un batterista… adesso noi siamo in otto sulla scena e penso che la formula attuale è molto più ricca e equilibrata rispetto a quella di quell’epoca. Quindi oggi penso che il miglior cd della nostra storia sia “Marines” e vedremo meglio fra qualche anno quale sarà l’ordine delle mie preferenze.

 

TA: Come è nata l’idea, nel disco “La Découverte ou l’ignorance”, di utilizzare strumenti elettrici?

 

TY: Molto semplicemente, in modo quasi automatico, per riempire la nostra formula strumentale dell’epoca che si limitava alle chitarre acustiche, un contrabbasso, un violoncello, dei flauti, bombarde e dulcimer, violino, autoharp, ecc… abbiamo pensato che le sonorità “effetto bordone” di una chitarra elettrica saturata potevano sposarsi felicemente con la musica tradizionale nella quale il bordone di un “biniou”, di una cornamusa o di una ghironda, fa naturalmente parte dell’armonia. E, quando si utilizza una chitarra elettrica, diviene quasi indispensabile aggiungerci un basso e una batteria, cosa che noi non abbiamo mancato di fare. Tuttavia all’epoca prendemmo un grande rischio perché questa formula elettro-acustica era abbastanza iconoclasta per orecchie “tradizionali” e molto pronte alla critica. Noi abbiamo vinto la scommessa poiché questo disco è stato scelto da numerosi acquirenti e per questo motivo resta un punto di riferimento nella nostra discografia.

 

TA: Il gruppo ha avuto una sola donna nella sua storia: Mylène Coué. Avete ancora contatti con lei? Per quali motivi non suona più con voi occasionalmente?

 

Mylène era entrata nei Tri Yann dal momento della partenza (definitiva all’epoca) di Jean Paul Corbineau. Molto presto ci siamo resi conto che le tonalità della sua voce non erano realmente in accordo con quelle delle voci maschili degli altri membri del gruppo. A ciò si aggiunge che l’integrazione di una donna in un gruppo essenzialmente maschile può porre problemi particolari che rendono la vita comune un po’ complicata… Noi ci siamo lasciati senza arrabbiature e poi Jean Paul è ritornato tra noi per riprendere il suo posto. Occasionalmente noi rivediamo Mylène che abita ancora nella nostra regione, ella ci ha raggiunto per festeggiare insieme i 25 anni dei Tri Yann, l’abbiamo rivista anche recentemente… ciascuno continua la sua vita. Poi, anche un’altra donna ha fatto un’esperienza nei Tri Yann: Bleuwenn Mevel, sorella del nostro cornamusista Konan Mevel.

 

TA: Nel 1986 Bernard Baudriller lascia il gruppo. Per quali ragioni? Come avete voi vissuto l’episodio?

 

TY: Dolorosamente; eh sì, è stato indubbiamente il primo trauma al quale abbiamo dovuto far fronte. Ma come fare quando la vita del gruppo diventa troppo pesante per essere vissuta? Quando il fatto di partire in tournée troppo spesso rischia di mettere da parte la famiglia? Bernard ha preferito trovare un posto di direttore di una scuola di musica che gli permettesse sempre di essere in contatto con la musica ma preservando la sua vita famigliare. Noi l’abbiamo capito. Si ritrova la voce di Bernard sul disco “Portraits”, uscito subito dopo la sua partenza, e ogni volta che l’occasione si presenta Bernard sale con noi sul palco per cantare una piccola canzone corale…

 

TA: Come spiegate la longevità eccezionale del gruppo?

 

Alcune parole: rigore, creatività, pragmatismo, tenacia, passione, umanità, confidenza, rispetto, tolleranza, complementarietà, senso artistico, salute, umore e buon umore… mettete tutte queste definizioni nell’ordine che preferite, esse sono intercambiabili. E nessuna di esse potrebbe trovare il suo posto senza il pubblico che ci sostiene da più di trent’anni.

 

TA: Negli anni 80, quando la musica folk ha conosciuto una certa crisi, avete vissuto momenti difficili? Parallelamente, quali sono i vostri ricordi più belli?

 

Crisi! “what crisis” (per parafrasare alcuni artisti celebri!). E’ nel punto più profondo della crisi che noi abbiamo costruito il nostro spettacolo più ambizioso : « Le vaisseau de Pierre », che è stato anche lo scacco economico più doloroso della nostra carriera… ma dato che non c’è nulla che come l’avversità può rinsaldare l’amicizia, noi l’abbiamo fronteggiata insieme e mi piace pensare che questa esperienza, ricca artisticamente ma spossante economicamente, abbia permesso al gruppo di costruire le fondamenta per l’avvenire. E’ dunque un bel ricordo quello di questo spettacolo “Le vaisseau de Pierre”, dove eravamo un centinaio di partecipanti, musicisti, danzatori e danzatrici, figuranti, marionette giganti. Ma risono tanti bei ricordi che è difficile fare una scelta.

 

TA: Cosa potete dirci per presentare il nuovo cd “Les Marins”?

 

In realtà questo cd si chiama “Marins”, come quei quadri che rappresentano il mare, siano tempere, acquerelli o oli, tutti hanno come punto in comune questo mare che lambisce le nostre coste, questo litorale che fa della Bretagna un “Pays d’armor” (“armor” significa “paese di mare”) e che noi abbiamo cantato così poco essendo dei “terrieri”, cioè degli “urbains de l’argoat” (“argot” significa “paese di bosco”). Il cd è dunque una successione di impressioni e sentimenti ispirati dalla presenza marittima. Si parla di personaggi, di luoghi, di atmosfere aventi un denominatore comune: il mare. Non si tratta semplicemente di canzoni di mare, ma di canzoni di gente di mare, donne di mare, gatto di bordo, donna che si lascia sulla banchina, whisky che aiuta a dimenticare… un buon disco, davvero.